“…Creatore del cielo e della terra…”

Il Simbolo del Credo richiama e riassume tutta la Sacra Scrittura. In questo caso il richiamo col primo versetto della Bibbia è evidente: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). La catechesi sulla creazione è di fondamentale importanza perché, come dice il nostro Catechismo, riguarda i fondamenti stessi della vita umana e cristiana. L’eterna domanda della filosofia “da dove veniamo?” trova qui una risposta, rivelata dalla Scrittura ed accettata col Credo. Professare questo punto della fede comporta il riconoscimento delle nostre origini in Dio: il credente sa di non essere frutto del caso, è consapevole di essere stato voluto e di conseguenza di avere un fine. Ed è questa la cosa che conta di più; la scienza può senz’altro aiutarci a far luce sul quando e sul come della creazione, ma sapere che tutto ha origine da un “Essere trascendente, intelligente e buono” ci fornisce il senso delle cose, dell’universo tutto, e della stessa nostra esistenza (cfr CCC 282ss). La creazione è, infatti, “scaturita dalla bontà divina” e partecipa di questa bontà. “E’ possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana, anche se questa conoscenza spesso è offuscata e sfigurata dall’errore. Per questo la fede viene a confermare e a far luce alla ragione nella retta intelligenza di queste verità” (CCC 286). La creazione non è frutto del caso né panteistica emanazione di Dio, ma un fatto voluto, un dono fatto all’uomo, un’eredità a lui destinata ed affidata. Il Creatore ha fatto tutte le cose dal nulla, conferendo ad esse un ordine e regolandole con sapienza tramite le leggi di natura: “Tu hai disposto tutto con misura, calcolo e peso” (Sap 11,20). E’ errato ritenere che Dio abbia creato anche il male: “E Dio vide che era cosa buona…cosa molto buona” (Gn 1,4ss); “Tu ami tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato; se tu avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata” (Sap 11,24). E’ anche errato ritenere, come sostengono le correnti gnostiche, che la materia sia qualcosa di negativo, da respingere o superare. La realtà della creazione è strettamente unita alla rivelazione dell’Alleanza con Dio, anzi ne costituisce il primo passo. Essa si rivela con forza crescente lungo tutta la Sacra Scrittura, nei patriarchi, nei profeti, nei salmi, fino a culminare in Gesù Cristo che fa nuove tutte le cose rimediando al male introdotto dal peccato. Non abbiamo dunque a che fare, come vorrebbe il deismo, con un Dio orologiaio, il quale, una volta fatto l’universo, lo avrebbe abbandonato a se stesso. Dio non solo crea, ma conserva e regge tutta quanta la creazione, la sostiene continuamente con la sua sapienza ed il suo amore. Alla domanda “perché Dio ha fatto il mondo?” il Concilio Vaticano I risponde: “Il mondo è stato creato per la gloria di Dio” (Denz-Schönm, 3025). Ma il Signore non operò per accrescere la propria gloria, bensì, come amava dire San Bonaventura, “per manifestarla e per comunicarla”. Dio non aveva bisogno del cosmo. Infatti, non ha altro motivo di creare se non il suo amore e la sua bontà (cfr CCC 293). Ma qual è il fine della creazione? Il fine ultimo della creazione è che Dio “che di tutti è il Creatore, possa anche essere tutto in tutti, procurando ad un tempo la sua gloria e la nostra felicità” (Conc Ecum Vat II, Ad gentes, 2). E il Signore, nel suo disegno, si serve anche della cooperazione delle sue creature, dà agli uomini il potere di partecipare liberamente alla sua Provvidenza, di diventare “cause intelligenti e libere per completare l’opera della creazione, perfezionandone l’armonia, per il loro bene e per il bene del prossimo” (CCC 307). Spesso siamo cooperatori inconsapevoli, ma tutti noi possiamo partecipare deliberatamente al piano divino con le nostre azioni, le nostre preghiere, ed in particolare con la pro-creazione, che prolunga, attraverso di noi ed il nostro amore, il disegno creativo di Dio. La creazione, infatti, non è finita, perché Dio continuamente “chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (Rm 4,17).