“Credo la Chiesa…”

Un bambino scappa di casa perché non ne può più di sua madre. In un primo tempo si gode tutta la sua libertà, vuole “sentirsi adulto”, e quindi va dove vuole e fa ogni cosa che gli passa per la testa; si diverte a compiere tutto ciò che prima gli appariva proibito. Col gruzzoletto che gli è rimasto in tasca si compra ogni genere di cose che desidera, mangia e beve tutto ciò che gli pare, si rotola completamente vestito nel fango, si arrampica per luoghi impervi e pericolosi. Ma dopo un po’ di tempo il bambino comincia a sentire un grande vuoto, si accorge che le sue giornate sono tutte uguali, che la sua vita non va in alcuna direzione. Non sopporta più i suoi vestiti sporchi e sudati, ed inoltre, finito il suo gruzzolo, comincia a fare i conti con la fame e con la sete. Le ferite che si è procurato arrampicandosi cominciano a fare infezione, e sente la febbre salirgli su per tutto il corpo. Lentamente riprende allora la strada di casa, pur aspettandosi le sfuriate di sua madre. Costei invece, appena rivede il figlio, piange di gioia, lo abbraccia, lo porta in casa, lo lava, gli cura le ferite, gli cambia i vestiti, lo nutre e lo disseta.

Questo piccolo racconto, per certi versi molto simile a quello del figliol prodigo, fotografa gran parte dell’umanità attuale, che spesso rivendica capricciosamente una libertà fine a se stessa, e rifiuta la chiesa come madre. Vi sono cose, indispensabili alla nostra salvezza, che non possiamo procurarci da soli. Inizialmente quel “gruzzolo rimasto in tasca” ci dà come un senso di onnipotenza. Il tralcio staccato dalla vite, non ne conserva forse, per qualche giorno, ancora un po’ di linfa? Presto però ci si accorge che la vita viene meno, che l’anima si dissecca, che l’ubriacatura di libertà lascia in realtà, col tempo, una grande sete; una sete che può essere appagata solo dall’“acqua che scaturisce dalla roccia”, quella che sgorga dal costato di Cristo, che colma i fonti battesimali di tutto il mondo. Ci si accorge che solo presso questa Madre la nostra fame si sazia col pane che nutre davvero, quello che si diffonde da tutti gli altari come cibo di vita eterna. Ci si accorge che solo presso i suoi confessionali possiamo venire lavati dal male commesso, curati nelle più profonde ferite dell’anima, rivestiti di abiti nuovi nella luce del ritrovato stato di grazia. Ed è così che si diventa davvero adulti. E’ in questa Madre che a nostra volta si diventa madri, si genera e si salva con lei. Dai bassifondi di Calcutta alle periferie delle grandi città, non c’è angolo di mondo che non sia abbracciato dalla salvezza della Chiesa. Eppure, dicono alcuni, “Cristo sì, chiesa no”. Come se avessero in cantina la macchina del tempo per ritornare nella Palestina di 2000 anni fa ed incontrare là il Cristo, come se potessero sedersi ancora nel cenacolo fra Giuda e Gesù e prendere lì l’eucaristia, come se potessero travestirsi da mendicanti ciechi alle porte di Gerusalemme per sentirsi dire, anch’essi, “va’, ti sono rimessi i tuoi peccati!”. La Chiesa non è cosa “altra”, rispetto al Cristo, ma è bensì il modo con cui Cristo mi salva oggi, nel mio tempo e nella mia storia. Quando Gesù parla della Chiesa dice “Me”: chi tocca voi tocca Me, chi perseguita voi perseguita Me. E quando Saulo ordinava stragi contro la chiesa, facendo versare il sangue di molti cristiani, Cristo Risorto sulla via di Damasco lo rimprovera così: “Saulo, Saulo, perché Mi perseguiti?” (At 9,4). Un richiamo che dovrebbe far rabbrividire tutti coloro che, oggi infervorati dalla stessa febbre di Saulo, attaccano e devastano la Chiesa. Ma nessun attacco, né accusa, né diffamazione potrebbero staccare i cristiani dalla Chiesa (come Satana vorrebbe per aver buon gioco), poiché essi la amano come proprie membra. Di più, sanno scorgere in essa le membra del Cristo, ed ogni attacco alla Chiesa lo avvertono come colpo di flagello alle membra del Cristo, alle proprie membra. Essi non possono fare a meno di amarne i ministri, di amare intensissimamente il Papa, di amare tutti i propri Pastori e sacerdoti. E li amano anche quando ne vedono i difetti. Nessun laicista potrà mai capire questo, perché tutto avviene per vie soprannaturali ed invisibili, per incorporazione mistica al Corpo di Gesù. E’ la punta della lancia del cherubino, è la trasverberazione al nostro costato, è l’incarnata partecipazione al mistero di salvezza.

Noi amiamo la Chiesa, e, dopo Cristo, non vi è nulla che amiamo di più. Essa è Cristo che cammina nella storia, che coi suoi piedi possenti estirpa arbusti e rovi, che con le sue mani piagate ci redime, con le sue spalle possenti ci sostiene: noi tutti indegni dal primo all’ultimo, noi tutti con passione così amati.