“…E per opera dello Spirito Santo si è incarnato…”

Caro factum est, scrive l’apostolo Giovanni all’inizio del suo vangelo: il Verbo si è fatto carne. Il nostro Credo c’invita qui a ricordare il mistero dell’Incarnazione, un miracolo avvenuto “per opera dello Spirito Santo”. Il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto natura umana è il tratto distintivo della fede cristiana. E questo Giovanni lo sottolinea chiaramente: “Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio” (1Gv 4,2). Le affermazioni del Simbolo del Credo sono quindi criterio di discernimento per riconoscere i cristiani. Abbiamo già avuto occasione di ricordare (Il Timone N.38) che nella lingua greca la parola symbolon indicava quella metà di un oggetto spezzato in due che, ricongiunto all’altra metà, serviva come segno di riconoscimento di una persona. Allo stesso modo il Simbolo del Credo verifica l’identità di un credente. Chi crede che Dio si è fatto uomo in Gesù è cristiano; chi non lo crede non è cristiano. L’Incarnazione, infatti, è, assieme alla Morte e Risurrezione, il centro della fede cristiana, il fondamento di tutto quanto il cristianesimo.

Si tratta, certamente, di un Mistero che sfugge in gran parte alla nostra ragione, ma questo non c’impedisce di indagare, alla luce della Scrittura, sul perchè dell’Incarnazione.

San Paolo, riecheggiando i Salmi, scrive: “Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né olocausti né offerte, un corpo invece mi hai preparato…Allora ho detto: Ecco io vengo… per fare la tua volontà” (Eb 10,5-7); ecco quindi una prima risposta: Cristo s’incarna per fare la volontà del Padre. Luca ci fornisce una seconda risposta: Dio si è incarnato per adempiere le promesse (Lc 1,55), quelle fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Giovanni ci fornisce una terza risposta: il Verbo si è fatto carne per cancellare i nostri peccati (1Gv 3,5); l’apostolo scrive infatti che Dio “ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). Cristo dunque viene per riconciliarci con Dio. Al centro della sua missione vi è la Salvezza: l’Incarnazione è avvenuta per salvarci. “Il Padre ha mandato il suo Figlio come Salvatore del mondo” (1Gv 4,14). Ma possiamo rispondere anche in altro modo alla nostra domanda: l’Incarnazione è avvenuta perchè Dio ci ama; “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Ed è avvenuta anche perchè noi conoscessimo l’amore di Dio. L’Incarnazione reca con sé numerosi doni, perchè tramite essa riceviamo la vita. “Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perchè noi avessimo la vita per lui” (1Gv 4,9). Si tratta di una vita nuova quaggiù, come un tralcio secco che torna nella vite viva, ma si tratta anche della vita eterna. Dio ci ha mandato il Figlio “perchè chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Un altro dono (o motivo) racchiuso nell’Incarnazione è l’adozione a figli: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perchè ricevessimo l’adozione a Figli” (Gal 4,4-5): il Figlio di Dio si è fatto uomo affinché l’uomo divenisse figlio. Sant’Ireneo di Lione (II Sec) scrisse: “Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio figlio dell’uomo: perchè l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” (Adversus Haereses 3,19,1). Il Catechismo della Chiesa Cattolica, oltre a ricordare tutte le motivazioni sopra esposte, ci indica un’altra ragione dell’Incarnazione: il Verbo si è fatto carne per fornirci un modello di santità (CCC 459). Si tratta però di un modello che ci assorbe in sé, trasformandoci a sua immagine, facendoci partecipe della sua natura, perché Gesù “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2,6). Se il Verbo s’incarna, dunque, è anche perchè diventassimo partecipi della natura divina (2Pt 1,4).

San Gregorio di Nissa (IV secolo) testimonia: “La nostra natura, malata, richiedeva di essere guarita; decaduta, d’essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito” (Oratio Catechetica, 15).