La vera storia della droga

di Stefano Biavaschi

Nella storia della diffusione delle diverse droghe vi sono un po’ troppi particolari che suscitano perplessità, e che indicano o un’estrema ingenuità da parte di chi era preposto alla tutela della salute o una sua grave intenzionalità. Lascia sicuramente sconcertati, per esempio, sapere che proprio dal mondo della medicina e della psicanalisi è partito di volta in volta l’impulso verso la creazione e la diffusione delle varie droghe senza che poi si facesse nulla quando ci si accorgeva della crescente pericolosità per la salute oltre che per la società.

L’uso di droghe è antico quanto il mondo, ed ha toccato un po’ tutte le civiltà, ma si trattava di sostanze ricavate direttamente dalla natura. I problemi più seri sono cominciati a sorgere con la rivoluzione industriale, cioè da quando si è passati alla distillazione chimica delle varie sostanze, che ne permetteva un’alta concentrazione. Il primo passo lo fece Wilhelm Saturner quando nel 1805 isolò il principio chimico dell’oppio ricavandone la morfina, un farmaco di grandissima utilità per i suo effetti analgesici, ma la cui distribuzione incontrollata provocò l’insorgere delle prime dipendenze gravi. La morfinodipendenza si diffuse rapidamente, catturando anche diverse vittime illustri, tra cui Bismarck, Wagner, Maupassant. Il rimedio che la medicina escogitò fu però peggiore della cura, dando vita nel 1898 ad un farmaco che sarebbe dovuto servire per la disintossicazione dei morfinomani: l’eroina.

A promuovere l’uso della coca in Europa ci pensò invece Paolo Mantegazza, pubblicando nella seconda metà dell’800 un saggio di successo. Da allora la coca venne considerata una panacea, tanto che si vendeva sotto diverse forme, per esempio sciolta nel vino. Il famoso Vin Mariani (il cui nome era dovuto al commerciante che lo ideò: Angelo Mariani) attirò numerosi elogi pubblici: da Dumas a Edison molte furono le personalità che vedevano in questa bevanda la soluzione per molti mali, in particolare per la depressione. Quando nel 1860 Albert Niman isolò il principio chimico della coca realizzando la cocaina, il mondo medico pensò di promuoverne l’uso proprio per la terapia della depressione, oltre che dell’asma e dell’obesità, ignorando (ingenuamente?) l’incremento della relativa dipendenza; anzi si pretese di poter curare con la cocaina la disintossicazione degli alcolisti e dei morfinomani. Ma riguardo alla cocaina il mondo della psicoanalisi non fu da meno, con Sigmund Freud in testa, già autore del noto saggio “Über Coca”, e “per anni avido consumatore che prescriveva largamente la cocaina ai suoi pazienti”. (Fonte “Le Scienze”).

Per la diffusione di massa delle anfetamine bisognò invece aspettare la seconda guerra mondiale, anche perché gli eserciti tedeschi, giapponesi e americani avevano iniziato a distribuirle largamente ai propri soldati per incrementare il coraggio durante gli attacchi o tenere alto il morale in trincea. Verso la metà degli anni settanta iniziò l’escalation sociale dell’extasy: la medicina ne aveva già, nel 1912, brevettato la molecola (MDMA) come tentativo di cura dell’anoressia, ma ancora una volta fu la psicoanalisi a distribuirla verso un numero sempre maggiore di pazienti, in quanto, se assunta appena prima delle sedute analitiche, li faceva parlare di più. Il passo verso la diffusione tramite mercato nero fu assai breve, e nell’ultimo ventennio è stato facile per la malavita organizzata realizzare quel matrimonio col mondo delle discoteche e dei locali notturni che riusciva ad accattivare la simpatia delle giovani generazioni, ormai diffidenti verso l’eroina. (La presenza di MDMA nel sangue di moltissime vittime di tragedie stradali dà una conferma di quale sia, assieme all’alcol, la prima causa dei classici incidenti del sabato sera).

Particolarmente gradito dal mercato nero fu anche il metadone, realizzato come cura per la disintossicazione dell’eroina, pur contenendone lo stesso principio chimico. Ma anche l’immenso mercato dei farmaci da dipendenza (sonniferi, tranquillanti…) non è andato certo a finanziare solo le case farmaceutiche che li producevano: un semplice confronto tra il numero delle effettive prescrizioni mediche e il numero dei prodotti realizzati e venduti avrebbe dovuto allarmare i produttori, che spesso hanno invece preferito fare finta di nulla.

Un percorso un po’ diverso fu compiuto nella storia da hashish e marijuana, entrambi derivati della canapa indiana, anch’essa ben nota fin dall’antichità per le sua capacità di alterazione dei processi psichici e cognitivi, e per l’induzione di dispercezioni e possibili allucinazioni. L’uso della canapa si diffuse in particolare nella civiltà araba, tanto da fornire con le sue suggestioni moltissimi influssi su quella società islamica contro cui vennero a scontrarsi i crociati. (Il termine “assassini” deriva da “hashishiyyin”, che vuol dire “dedito all’hashish”, come venivano chiamati i tanto temuti componenti del corpo armato arabo). Ma furono le truppe napoleoniche a importare l’uso di questa droga in Europa: in Francia si diffusero presto i circoli di fumatori d’hashish, cui convergevano artisti e intellettuali dell’epoca, da Baudelaire a J.Moreau, un famoso medico che consigliava agli psichiatri l’uso dell’hashish per comprendere meglio i meccanismi della follia.

Oltre al mondo della medicina e della psicoanalisi, anche quello della letteratura ebbe le sue pesanti responsabilità: basti ricordare la Bohème francese, la Scapigliatura italiana, e così via fino alla Beat Generation americana che ammaestrò le giovani generazioni alla vita d’evasione, all’amore verso le droghe come esperienza psichedelica mirante alla conoscenza del sé, a una maggiore dimestichezza con gli allucinogeni e in particolare con l’LSD. Ancora oggi si moltiplica impunita tutta una manualistica che addestra alla preparazione e all’uso delle varie droghe, superata solo dalla proliferazione di analoghi siti internet altrettanto impuniti.

Per quanto riguarda le responsabilità, talvolta gravi, del mondo del cinema, della musica, dello spettacolo, dei concerti intesi come raduni trasgressivi di massa, non è necessario soffermarsi essendo già noti a tutti sia i protagonisti che le situazioni.

Altrettanto grave è stata la responsabilità del mondo della scuola, ove era più visibile che altrove la diffusione dei vari fenomeni e tuttavia è mancata ogni informazione in entrata e in uscita, era quasi sempre assente il raccordo con le famiglie su questo problema, e soprattutto è venuta a mancare una reale azione di prevenzione. Generazioni di professori sono per anni entrati nelle classi calpestando siringhe per poi aprire i loro libri e continuare le lezioni come se nulla fosse, salvo quei pochi sensibili al problema che però restavano inascoltati e isolati. Ancora oggi manca nella scuola un piano d’interventi programmati.

Ma la responsabilità più grave in questi ultimi decenni è da attribuirsi certamente al mondo della gestione politica; innanzitutto per la prolungata omissione d’intervento: dinanzi all’eloquente cifra dei tre morti al giorno (dato riguardante la sola Italia, ma certamente assai più elevato se si sommano tutti gli altri casi di mortalità indirettamente legati alla droga) e dinanzi all’ancora più vasto flagello sociale che accompagna il fenomeno delle tossicodipendenze (disgregazione delle personalità e delle famiglie, moltiplicazione dei furti e delle rapine, traffico di armi, prostituzione, diffusione dell’AIDS), gli interventi dello Stato sono stati ogni volta tardivi, inconsistenti, inefficaci. Anche la realizzazione delle comunità di recupero è stata per troppo tempo e in troppi casi lasciata solo sulle spalle delle organizzazioni religiose.

Tutto ciò ha aumentato nei cittadini lo sgomento di non sentirsi a sufficienza difesi dallo Stato, anche perché i mercati delle varie droghe sono andati sempre più unificandosi nelle mani di potenti organizzazioni criminali, dalla mafia alla ndrangheta: l’acquisto di uno “spinello” venduto in una qualsiasi periferia di città va spesso a finanziare le stesse persone che gestiscono il monopolio dell’eroina, e che a loro volta rappresentano solo una cellula di un’immensa rete mondiale, i cui vertici svaniscono nel mondo della finanza internazionale. Le poche volte in cui nel passato un magistrato riusciva a risalire alle cime di qualche organizzazione (le storie di Falcone e Borsellino insegnano) veniva poi fisicamente eliminato tramite sanguinosi attentati. Solo dopo il 2001 lo Stato italiano sembra essersi fatto carico del problema droga, realizzando anche un consistente giro di vite nell’ambito delle precedenti normative sulla legalizzazione.

A rendere più triste questo panorama è stata anche la presenza di forze politiche, partiti, movimenti ideologici che hanno lavorato accanitamente a difesa della cultura della droga, sia attraverso la propaganda sia attraverso lo strumento della depenalizzazione. (Anche in questo caso pare superfluo ricordare nomi e fatti già ben noti). Meno nota è la capillare azione di una certa categoria di “centri sociali” studenteschi: iniziali promotori della cultura dell’eroina negli anni sessanta, cominciarono solo verso la fine degli anni settanta a guardarla con diffidenza, accorgendosi della sua scarsa natura proletaria e della sua strumentalizzazione nel controllo delle masse. Il potenziale per la contestazione fu invece più agevolmente individuato nel socializzante “spinello”, attorno al quale sorse un vastissimo movimento di coesione e di condivisione, che praticamente lo elesse a simbolo di sé, quasi emblema di un valore da difendere. Negli anni novanta questo tipo di “centri sociali” sono cominciati ad essere, almeno tra i giovani, un fenomeno in calo, perdendo gran parte del loro potere aggregante dopo il crollo delle ideologie e sotto i colpi delle nuove culture individualistiche, ma anche per le fughe di molti aderenti che alle riunioni dei direttivi cominciavano a vedere sempre meno autentici contestatori e sempre più malviventi, narcotrafficanti, poliziotti in borghese. A poco sono serviti i tentativi da parte malavita organizzata di imprimere il marchio della falce e martello o della sigla CCCP sulle nuove pastiglie da discoteca per meglio sedurre l’ideologia che fino a quel momento aveva fornito il suo carburante.

Si commetterebbe però un grave errore se si pensasse che il declino delle ideologie portanti abbia segnato il declino dell’affezione studentesca verso le droghe: lo strumento dei collettivi studenteschi, presenti in ogni istituto superiore, ha contribuito infatti a far sì che attorno alla “canna” si coagulasse trasversalmente ogni tipo di coscienza politica. Questo è potuto accadere anche grazie al meccanismo delle occupazioni scolastiche programmate: a date prestabilite (generalmente in autunno) centinaia di istituti scolastici superiori, mossi da una regia invisibile ma evidentemente presente in tutta la penisola, organizzano autogestioni e occupazioni con programmi fotocopia: durante queste “autogestioni” è sempre meticolosamente allestita un’aula per il “dibattito” sulle droghe, talvolta con l’intervento di “esperti” provenienti dall’esterno, ma chi ingenuamente se ne accosta scopre che il “dibattito” consiste nel “conoscere sperimentando”, mentre gli “esperti”, tra nubi di fumo dolciastro, tranquillizzano riguardo ai rischi e ai pericoli delle varie sostanze; invece durante le occupazioni (per le quali risultano sempre misteriosamente senza esito le denunce dei dirigenti scolastici, come pure le richieste di sgombero “per sopravvenuta incapacità a prevenire reati”) si organizzano veri e propri raduni notturni composti promiscuamente da ragazzini, studentesse quindicenni, ambigui frequentatori di “centri sociali” e spacciatori. I falò organizzati in queste occasioni coi crocifissi tolti dalle pareti delle aule, e sostituiti con scritte e simboli satanistici, hanno fatto pensare a più di un osservatore a possibili legami tra il narco-traffico e il crescente fenomeno del satanismo giovanile. Ma il simbolo “666” che appare sulle confezioni di eroina o il “Lucifer-Satan-Devil” con cui viene siglato l’LSD mostrano più verosimilmente il tentativo di catalizzare attorno alla droga ogni tipo di simpatia sociale e culturale.

Ciò che piuttosto continua a destare la maggiore perplessità è la perdurante latitanza delle istituzioni, l’irrisoria realizzazione delle strategie di difesa, l’indifferenza sempre più lassista della società. Oggi chiunque può entrare in un parco cittadino per vedersi attorniato da ogni tipo di fornitore, può cercarsi agevolmente il pub rifornito di extasy, può riconoscere senza problemi in quale punto della sua via si realizza lo spaccio (se non altro per gli appositi contrassegni di riconoscimento esposti in bella vista sui muri), o addirittura può recarsi a certi sexy-shop ove sottobanco elargiscono fialette di popper, senza che nessuno trovi la cosa anormale, tanto che le ultime generazioni sono sempre più convinte che si sia sempre fatto così, e che gli adulti abbiano tutti fatto sempre lo stesso tipo di esperienze.

>>> Per educatori e formatori: studi scientifici sulla marijuana e sull’extasy (a cura dell’IDIS)