L’Unzione degli Infermi

di Stefano Biavaschi

“La malattia e il dolore sono sempre stati tra i massimi problemi dell’umanità. La malattia è più che una transitoria perturbazione della salute. E’ un evento umano complessivo, corporeo-spirituale, che riguarda l’uomo in profondità”: così il Catechismo Cattolico degli Adulti (Ed. Paoline) affronta il settimo Sacramento della Chiesa Cattolica: l’Unzione degli infermi. E aggiunge: “Nella malattia l’uomo sperimenta la sua impotenza, limitatezza e finitezza. Viene strappato alla vita normale, condannato all’inattività e avverte allora che la nostra vita non è nelle nostre mani”.

E il Catechismo della Chiesa Cattolica (Ed. Vaticana) sottolinea: “La malattia può condurre all’angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a Lui” (ccc 1501).

L’Unzione degli infermi, in quanto sacramento, è strumento di redenzione, e dinanzi a queste situazioni di dolore persegue la salvezza, ma la salvezza di tutto l’uomo. E’ incontro efficace col Cristo, e, in particolare, con Cristo Medico. I Vangeli raccontano che Gesù ha operato moltissime guarigioni, tanto che spesso i malati cercavano di toccarlo “perché da Lui usciva una forza che sanava tutti” (Lc 6,19). Così, nei sacramenti, Cristo continua a “toccarci” per guarirci. “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17). La sua guarigione è rivolta innanzitutto allo spirito, e infatti ai malati chiedeva di credere. Come segno di questa guarigione interiore operava spesso anche quella fisica, e ordinò agli apostoli di imitarlo guarendo i malati (cfr Mt 10,8). E i dodici, “partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano” (Mc 6,12-13). Nella tradizione liturgica sia orientale che occidentale si hanno fin dall’antichità testimonianze di unzioni di infermi praticate con olio benedetto. Il Concilio di Firenze del 1431-45, elencando per gli Armeni i sette sacramenti, dice: “L’estrema unzione ci guarisce spiritualmente e anche corporalmente, come più giova all’anima” (Denz., FI, VIII, Bolla di unione degli Armeni).

Il Concilio Vaticano II, nel 1963, corresse la tendenza a collocare questo sacramento solo in punto di morte (cfr SC 73), e nella stessa linea si mosse pure Paolo VI con la Costituzione apostolica Sacram Unctionem Infirmorum scritta nel ’72. Il Catechismo precisa ulteriormente: “Se un ammalato che ha ricevuto l’Unzione riacquista la salute, può, in caso di un’altra grave malattia, ricevere nuovamente questo sacramento. Nel corso della stessa malattia il sacramento può essere ripetuto se si verifica un peggioramento. E’ opportuno ricevere l’unzione degli infermi prima di un intervento chirurgico rischioso. Lo stesso vale per le persone anziane la cui debolezza si accentua” (ccc 1515).

Tuttavia “neppure le preghiere più intense ottengono la guarigione di tutte le malattie” (ccc 1508). Non è quindi fondato ritenere che la mancanza di preghiera (o di “preghiera insistente”) sia l’unica causa di una mancata guarigione. Dio non è il servitore dei nostri desideri. Anche ai santi ha talvolta negato delle grazie. A San Paolo rispose: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta infatti pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9). E l’Apostolo apprese così bene la lezione da arrivare a dire: “Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24): è la figura del cristiano che non si premura tanto di chiedere guarigioni per il proprio corpo quanto di guarire il corpo di Cristo che è la chiesa. E’ qui che si ha l’uomo perfettamente guarito.