I COMANDAMENTI DEL DESIDERIO

Il nono e il decimo comandamento si presentano nel libro dell’Esodo in forma quasi unificata: “Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo” (Es 20,17). La tradizione catechistica cattolica distingue però la concupiscenza carnale (“Non desiderare la donna d’altri”, nono comandamento) dalla concupiscenza dei beni (“Non desiderare la roba d’altri”, decimo comandamento). Del resto già l’apostolo S. Giovanni distingueva nella sua prima lettera tra la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi (1Giov 2,16). Ma cosa s’intende esattamente per concupiscenza? Questo termine indica ogni forma veemente di desiderio umano disordinato, non conforme alla legge di Dio ed ai dettami della ragione umana, coltivato e perseguito volontariamente. Provare semplicemente un desiderio di per sé non è peccato, così come non sono peccato le semplici tentazioni. Il peccato subentra quando tentazioni e desideri sbagliati sono assecondati e perseguiti. Si può obiettare che certe volte la fragilità umana sottopone la psiche a desideri che sembrano ineliminabili, talvolta perfino ossessivi. Queste situazioni (al di là di possibili patologie o vessazioni) sono però provocate da quello che potremmo chiamare …volo a bassa quota. Molte tentazioni e molti desideri, infatti, non sarebbero percepiti a quote più alte, a livelli di vita più elevati spiritualmente; la preghiera, la vigilanza, l’esercizio interiore, il sostegno della grazia, hanno davvero il potere di sottrarci da quel sottobosco di desideri abitudinari innalzandoci in cieli molto più vivibili per noi. Invece di lottare faticosamente contro continue tentazioni è più saggio sottrarsi ad esse con un colpo d’ala. Anzi, il mancato decollo spirituale quando questo è possibile (e vi sono volte in cui davvero non lo è?) comporta già di per sé peccato, perché rendiamo la caduta prima o poi inevitabile. Ecco perché Dio comanda di non desiderare. Desiderare ciò che è negativo è inclinazione congenita del peccato originale, ma questo non deve diventare alibi per tenerci lontani dalla originaria integrità. Il nono e il decimo comandamento, additando più il campo del desiderio che quello dell’azione, sono un’indicazione anticipatrice del Cristo, che con la sua grazia santificante opera quella trasformazione dei cuori che abilita pienamente gli uomini a desiderare come Dio. Il nostro catechismo affronta con chiarezza il tema della purificazione del cuore e quello della lotta per la purezza (CCC 2517-2527). Esso ci indica quattro preziosi strumenti per irrobustire quella che San Paolo definiva la nostra armatura: la virtù della castità (perché ci permette di amare con cuore retto e indiviso), la purezza d’intenzione (che consiste nel tenere sempre presente il vero fine dell’uomo, e nel desiderare solo i desideri di Dio), la purezza dello sguardo (esteriore ed interiore, mediante il rifiuto d’ogni compiacenza nei pensieri impuri, e la disciplina dei sentimenti e dell’immaginazione), la preghiera (personale o comunitaria, con la Sacra Scrittura o il Santo Rosario, nutrita della forza dei sacramenti). S. Agostino nelle sue Confessioni diceva: “Pensavo che la continenza si ottenesse con le proprie forze, e delle mie non ero sicuro. Ero stolto a tal punto da ignorare che, come sta scritto, nessuno può essere continente se Tu non lo concedi. E Tu l’avresti concesso, se avessi bussato alle tue orecchie col gemito del mio cuore, e se avessi lanciato in te la mia pena con fede salda” (Confessiones 6,11,20).