IL SETTIMO COMANDAMENTO

Proviamo un attimo ad immaginare un mondo in cui viene rispettato anche solo questo comandamento, quello di non rubare: la mattina usciremmo da casa accompagnando semplicemente la porta con la mano, perché non esisterebbero serrature; non impazziremmo per cercare di capire in quale tasca abbiamo lasciato le chiavi della macchina perché non esisterebbero ovviamente nemmeno le chiavi, e saliremmo in vettura facendo comodamente partire il motore con la pressione di un pulsante. Il nostro veicolo funzionerebbe naturalmente in modo perfetto perché nessun meccanico disonesto ci avrebbe preso in giro durante l'ultima riparazione, ed in ogni caso coi soldi risparmiati in sistemi d'allarme e in assicurazioni per il furto (oltre che nel furto delle assicurazioni) non avremmo nessun problema a comprarci una macchina nuova. Lungo il percorso faremmo benzina ben certi che la quantità di carburante corrisponda esattamente alla quantità indicata dalla pompa, ed anzi il carburante costerebbe assai poco senza la rapina delle compagnie petrolifere associate in cartello (e quella dello Stato). Ai semafori non saremmo fermati da nessun lavavetri perché nella sua terra nessuno sarebbe sfruttato ingiustamente, nessuno applicherebbe ai prestiti tassi d'interesse usurai, nessuno adotterebbe forme di neocolonialismo. Arriveremmo a lavoro, felici di trovare tutta la contabilità semplificata, in quanto ogni controllo fiscale non avrebbe senso in un mondo di onesti. La nostra stessa busta paga sarebbe più gonfia, sia perché ci verrebbe corrisposto il giusto salario, e sia perché le tasse sarebbero molto più basse essendo pagate da tutti; ma sarebbero più basse anche per tutto quello che il sistema risparmierebbe in carceri e poliziotti, in furgoni blindati e depositi corazzati, in impianti antifurto e costosi processi. In sostanza saremmo tutti più ricchi, per cui non vi sarebbe neanche la necessità del furto. Già per un solo comandamento non rispettato ci siamo guastati la vita. Del resto le tavole della Legge erano state date proprio per una nostra maggiore felicità sulla terra, e non certo perché Dio ci guadagnasse qualcosa.

Inoltre dobbiamo capire che il vero danno del furto non è quello materiale, ma quello spirituale. Il vero danno per chi ruba è nell'uscire dalla visione d'amore con cui andrebbe guardata la realtà. Nel rubare compio innanzi tutto un furto a me stesso, perché mi privo della visione di Dio già in questa vita (col rischio di perderla anche nella prossima). Per un piccolo beneficio materiale perdo la serenità e la gioia, e non riesco più a gustarmi la vita essendomi assai più difficile se non impossibile conservare quell'ottica d'amore per gli altri che è alla base d'ogni felicità terrena, prima ancora che celeste. In secondo luogo derubo anche l'altro di una parte di questa visione, danneggiando, oltre che il suo bene materiale, anche la sua fiducia nel prossimo, il suo ottimismo, la sua gioia di vivere in un mondo di fratelli; lo costringo verso la diffidenza, la circospezione, l'insicurezza. Il furto più grande che gli faccio è che lo derubo di me: non avverte più la mia presenza come una continuità. Gli impedisco parte della visione di Dio perché non vede più Dio in me. Frantumo il regno di Dio sotto i suoi occhi. Questo pericolo è tanto grave che il Vangelo invita il derubato della tunica ad inseguire il ladro per donargli anche il mantello; affinché, pur restando una perdita materiale, si eviti almeno di perdere un fratello. La fratellanza può ancora salvare. Veramente in pochi deruberebbero un loro fratello: in realtà il furto inizia quando ho smesso di vedere l'altro come un fratello. Siamo tutti ladri nel medesimo istante in cui smettiamo di amare. Ma in fondo al cuore dell'uomo, anche di quello più incallito nel furto, rimane il desiderio ideale di una società d'amore. Utopia che viene respinta solo fino al giorno in cui non avviene l'incontro con Chi, sacrificandosi sulla croce, riuscì a restituire anche al ladro il suo cielo dicendogli: "Oggi stesso sarai in Paradiso con Me".